Coti… che?
Quando si dice che del maiale non si butta via niente significa che anche la pelle, cucinata a dovere, può diventare una prelibatezza. Le cotiche, infatti, sono le cotenne di suino, ovvero la pelle spessa ma ricca di tessuto sottocutaneo, che sottoposta a lunga cottura diviene morbida e gelatinosa.
Va detto che in passato, quando i maiali erano allevati allo stato brado ed erano più simili ai cinghiali, avevano una pelle coriacea e ricca di setole, più utile per essere conciata che per essere mangiata; mentre i maiali moderni (e meno pelosi!) hanno una pelle decisamente più adatta ad usi alimentari; ma un tempo, sì sa, non si andava troppo per il sottile!
Dal minestrone allo zampone
Già nel Seicento, però, tra le ricette citate da Vincenzo Tanara c’è un piatto a base di cotenne bollite, assemblate a mo’ di lasagne e condite con formaggio.
Le cotiche venivano utilizzate anche per insaporire zuppe e minestroni. E si usano ancor oggi per la preparazione del cotechino (che proprio da quelle prende il nome) e di altri insaccati come la cicciolata, e come “contenitore” per lo zampone.
L’incontro con i fagioli
In Emilia il maiale si alleva da millenni, ma raramente se ne mangiavano le carni fresche: era più utile farne salumi, che si conservavano a lungo e potevano essere venduti. Fresche si consumavano solo le parti che non potevano essere conservate o quelle meno pregiate; e si faceva di tutto per farle rendere il più possibile: da qui l’uso di prepararle in umido con sughi e verdure.
Probabilmente le cotiche venivano servite in origine con verze, rape o altri vegetali, poi, quando grazie all’arrivo di nuove varietà dall’America, si diffuse maggiormente l’uso dei fagioli, nutrienti e facili da conservare secchi in dispensa, questi, assieme al pomodoro, divennero i compagni ideali di questo piatto.
Povero ma ricco
Oggi i nutrizionisti sconsigliano di abbinare carne e legumi, poiché entrambi contengono proteine; ma un tempo i problemi erano altri, ovvero, come saziare famiglie numerose e dedite ai lavori nei campi con poca spesa e le cotiche e fagioli erano perfette allo scopo.
Sono un piatto povero ma molto nutriente, che i contadini solevano preparare per le grandi occasioni, prevalentemente in inverno, poco dopo l’uccisione del maiale e in prossimità delle feste natalizie. Era in questo momento dell’anno, infatti, che vi era maggior necessità di calorie e proteine.
Dalle terre dei norcini a quelle dei mazén
Pare che questo piatto sia nato nell’Italia centrale: in Umbria e nel Lazio, terre di provenienza dei famosi norcini, esperti macellatori di maiali e confezionatori di salumi; ma da lì si è rapidamente diffuso nelle altre regioni del Sud e del Nord, ovunque si allevassero maiali e si facessero salumi, diventando un piatto tipico della tradizione italiana rurale.
Ogni paese e ogni famiglia hanno la loro ricetta. Dalle nostre parti, dove i norcini si chiamano mazén, gli ingredienti sono semplici e saporiti: cipolla, sedano, carota, passata di pomodoro, sale, pepe, olio e, ovviamente, fagioli e cotiche di maiale. Il tutto è cotto lentamente per amalgamare bene gli ingredienti e ottenere un piatto ricco, gustoso e piacevolmente cremoso.
Fonti: La cucina delle carni da non dimenticare, edizioni dell’Accademia Italiana della Cucina, 2013, e Parole a fette, edizioni Tielleci 2001, entrambi scritti da Giovanni Ballarini.